L’Etna genera incessantemente colate e materiali piroclastici sui quali, attraverso il processo di colonizzazione, si insediano forme di vita progressivamente più complesse ed esigenti. Questo evento procede con tempi e specie differenti in relazione ai fattori ambientali, primo fra tutti la quota altimetrica e si arresta alle quote superiori di 2.900 – 3.000 metri s.l.m., dove le condizioni proibitive non consentono la presenza di viventi (deserto vulcanico). Altro fattore di condizionamento è la natura della matrice litologica: la colonizzazione è lenta sulle rocce compatte e più veloce su quelle porose, facilmente sgretolabili, o su materiali fini, come accumuli di sabbie e lapilli. Determinanti sono ancora l’esposizione, che influenza temperatura e umidità, e i nuovi fenomeni vulcanici che rallentano, bloccano o fanno riavviare il processo.
Schematizzando: appena la colata lavica si raffredda, vento, pioggia e neve cominciano a disgregarne la superficie. Dopo pochi anni si insediano i primi esseri viventi: semplici batteri e primitive alghe azzurre, invisibili ad occhio nudo. I primi protagonisti macroscopici della colonizzazione sono i licheni, associazione simbiotica di funghi e alghe, in grado di sopravvivere in ambienti estremi con lunghi periodi di siccità, mentre nelle aree più umide si insediano i muschi e nelle fessure, dove si accumulano polveri e detriti, germogliano i semi trasportati dal vento o dagli animali. Il processo di colonizzazione è innescato e si sviluppa con l’affermarsi di associazioni vegetali sempre più complesse. La colonizzazione richiede alle piante una spiccata attitudine pioniera, intesa come capacità di mettere a punto strategie di sopravvivenza innovative e specifici adattamenti per fare fronte a condizioni ambientali difficili. Si sono così differenziate numerose specie endemiche, cioè esclusive dell’Etna. Ogni specie è un passo della colonizzazione, che modifica il suolo arricchendolo in sostanza organica e rendendolo gradualmente più fertile, fino all’affermarsi degli arbusti e infine delle piante arboree. Si arriva così alla tappa finale cioè al bosco, formato da una molteplicità di specie dove il suolo è ricco, profondo, soffice.
La colonizzazione è un processo di cruciale importanza ecologica perché genera suolo fertile, cioè capace di ospitare e fare crescere le piante. Nel corso del tempo, alle quote meno elevate, una parte della fertilità così creata è stata utilizzata dall’uomo che ha disboscato per fare agricoltura e ottenere i prodotti necessari alla propria sopravvivenza. Oggi l’Etna è un mosaico ambientale di ecosistemi naturali ed agro ecosistemi, un fascinoso paesaggio che riverbera anche nella letteratura.
Negli ecosistemi naturali i cicli della materia e i flussi dell’energia seguono leggi proprie e si svolgono in assenza dell’intervento umano, l’uomo è un componente del sistema al pari degli altri viventi. Sono mondi complessi con molte specie animali e vegetali tutte legate da un fitto intreccio di relazioni, ma ciascuna presente in numero modesto. Incontriamo organismi autotrofi (produttori), eterotrofi (consumatori) e decompositori che chiudono il ciclo della materia e il flusso dell’energia. La struttura dell’ecosistema naturale rimane stabile nel tempo, perché quanto è costruito dagli organismi produttori viene utilizzato al suo interno dai consumatori e dai decompositori, pertanto la produttività netta di un ecosistema maturo è pari a zero. In definitiva un ecosistema naturale tende alla stabilità, cioè ad una condizione di equilibrio delle sue componenti che viene raggiunta nella fase di maturità o climax.
I campi coltivati sono ambienti artificiali, creati dall’uomo per produrre cibo. Per raggiungere questo obiettivo l’uomo mantiene nel sistema solo la specie per lui importante: quella da coltivare o da allevare che è tenuta in numero elevato. Mentre l’ecosistema naturale marcia verso la complessità e la stabilità, l’agroecosistema è un mondo semplificato e va nella direzione opposta, quella della semplificazione e dell’instabilità. Il sistema deve essere instabile, cioè la sua produttività deve essere sempre superiore allo zero, perché una parte di quanto prodotto dalle piante coltivate o dagli animali allevati è prelevato per arrivare alle nostre tavole. Inoltre, mentre la selezione naturale premia gli individui più adattabili, la selezione dell’agricoltore premia quelli più produttivi, che però spesso non sono in grado di difendersi dalle avversità né di riprodursi autonomamente.