Giorni Nostri

Vita animale sull’Etna

Descrizione

“In quelle erme foreste, in quei taciti, che sarebber da dirsi i pacifici ritiri della natura, più numerosi viventi van spaziandosi, e nell’aperto della selva e nel più folto e fitto del bosco. (…) Vedevisi il capriuolo nei dirupi dei monti, giovarsi nei calori estivali dei nordici siti, e delle regioni merigiane, e delle valli coperte nei freddi jemali; ed il daino nei luoghi starsi elevati interrotti da piccioli poggi: vedevisi il lupo aggredir le mandrie, cacciare nel forte del bosco un qualche animale selvatico, far scorrerie nei campi sativi talvolta, e appropinquarsi sinanco, quando lo punge la fame, ai luoghi abitati”, così a metà del XIX secolo Giuseppe Antonio Galvagni descriveva la fauna etnea.

Oggi questi animali selvatici sono estinti, come tanti altri che, fino agli inizi del novecento popolavano l’Etna, quando la presenza dell’uomo era significativa ma ancora discreta e ben inserita nell’ambiente. Nella seconda metà del novecento molto è cambiato perché la progressiva antropizzazione è stata accompagnata da una caccia spietata e da un disboscamento sempre più vasto. In epoca più recente un’agricoltura resa pericolosa dall’uso di pesticidi e il dilagare di un turismo invadente sono divenuti nuovi fattori di rischio per gli animali.

L’istituzione del Parco ha segnato un punto di svolta perché, dal 1987, tutte le attività umane nell’area protetta devono essere svolte nel rispetto dell’ambiente. Questo nuovo obiettivo ha ripristinato condizioni di vita più adatte alla presenza dei selvatici come testimoniano l’incremento delle popolazioni di alcune specie. Fra queste la Coturnice (Alectoris graeca whitakeri) specie endemica siciliana, a rischio di estinzione, presente e nidificante sull’Etna proprio perché nel Parco sono ridotte o assenti le minacce di caccia, urbanizzazione, massiccio uso di pesticidi e diserbanti o incendi. L’istituzione del Parco ha permesso il ritorno dell’Aquila reale (Aquila chryseatos) che già da anni volteggia nei nostri cieli a caccia di conigli, lepri, coturnici.

Sull’Etna la specie nidifica su scoscese pareti rocciose o su piante alte e vetuste come è accaduto ad un vecchio Pino. La salvaguardia ambientale consente la presenza degli ampi territori di caccia necessari al Gatto selvatico (Felis silvestris silvestris), specie elusiva e notturna, oggi è il predatore terrestre di maggiori dimensioni presente sull’Etna. Il Parco guarda a queste specie con particolare attenzione e, attualmente, finanzia piani di monitoraggio per seguirne le dinamiche all’interno dell’area protetta.

Approfondimenti

Il Gatto selvatico, predatore notturno e solitario, ha in Sicilia l'unica popolazione mediterranea naturale, cioè non introdotta dall'uomo. Inoltre, un recente studio evidenzia che il patrimonio genetico di questa popolazione insulare è chiaramente divergente rispetto a quello delle altre italiane continentali: di fatto ci troviamo di fronte a una distinta unità di conservazione. Quindi la condizione di insularità accentua la necessità di conservare la popolazione in stato ottimale che, se si estinguesse, causerebbe la perdita di un patrimonio genetico unico. Il Gatto selvatico caccia nei boschi con passo furtivo e silenzioso e solo l’uso di “trappole fotografiche” e, in misura modesta, l’esame degli escrementi permettono di rilevarne la presenza. Le immagini “catturate” nel corso di diversi anni di monitoraggio condotto nel Parco dell'Etna evidenziano che la popolazione etnea gode di buona salute. La conservazione delle popolazioni di gatto selvatico nel Parco dell’Etna ha un’importanza strategica perché l'Etna è uno degli habitat idonei più estesi in Sicilia per questo predatore. Inoltre l’Etna funge da corridoio ecologico per connettere le popolazioni orientali con quelle occidentali. Il maggiore fattore di rischio delle popolazioni di gatto selvatico è l'alterazione e frammentazione degli habitat. In particolare le minacce per la sopravvivenza della specie sono dovute all'espansione della rete stradale all'interno e nelle vicinanze delle aree ad alta naturalità. Inoltre, la presenza umana rende più probabile il rischio di ibridazione e trasmissione di malattie con il gatto domestico, come anche il disturbo relativo ad un pascolo eccessivo e alla presenza di cani randagi.
“Selvatico”, sinonimo di libero. Soprattutto, dato che in quanto aggettivo deve descrivere qualcosa o qualcuno, quando si parla degli animali che normalmente (per colpa nostra) vivono in qualche terribile e sempre troppo piccola gabbia. L’Etna, questo bernoccolo di fuoco della Sicilia orientale, in fondo potrebbe essere considerata come un insieme ormai rarissimo di animali selvatici e dunque, se tanto ci dà tanto, come un insieme di libertà. Ci sono lepri e gatti selvatici, istrici e ricci, vipere e rapaci, entro un quadro complessivo che si chiama “biodiversità”: la vita, con le sue differenti forme, che scorre rendendo giustizia al principio dell’armonia delle cose. Secondo l’etologia più moderna, quella che diventa quasi ecologia, non solo ogni specie è diversa dall’altra ma anche ogni individuo di queste specie, questa la cosa più sorprendente per l’essere umano che pensa agli animali come tutti simili tra loro, è diverso a modo suo. Di più: ogni animale non solo ha un mondo ma è esso stesso un mondo e l’Etna, che a noi appare con dei colori e dei profumi perché siamo fatti in un certo modo, a un ragno o a un falco apparirà completamente diversa. La vita selvaggia è la vita fuori dallo schema, o meglio dallo schematismo: l’idea che ogni cosa vada processata secondo certi principi e parametri. Un’aquila, dall’alto, osserva ciò che la circonda come noi non possiamo neanche immaginare; qualsiasi sforzo io possa fare non potrò mai capire che cosa prova un’aquila nell’osservare l’Etna, ma forse non potrò neanche mai capire cosa prova un mio amico nel fare la stessa cosa. Ogni esperienza è sempre individuale, come ogni “esemplare” animale, che è appunto un “esempio” di una vita ma non coincide mai con essa (altrimenti sarebbe l’animale e non un animale). L’Etna vive perché è un insieme di vite e per ognuna di esse rappresenta qualcosa: un giaciglio, una madre, un pericolo, un ostacolo. La nostra difficoltà di contatto con gli animali selvaggi dipende dal fatto che pensiamo di poterli capire restando umani mentre invece dobbiamo diventare animali a nostra volta, sdraiarci per terra in mezzo a loro come suggeriva Kafka, e piuttosto che continuare a osservarli da alzati iniziare a guardare le cose da una prospettiva nuova. Chi lo sa che forma ha l’Etna strisciando, volando, o scavandola sottoterra? Forse anche lei, come ogni cosa della vita, si modifica sulla base dello sguardo che cerca di catturarne l’essenza.