L’Etna, la mitica Fùcina degli Dèi, è un vulcano composito assai complesso, originatosi in seguito alla sovrapposizione e giustapposizione di prodotti eruttivi emessi in tempi differenti attraverso diversi sistemi di risalita magmatica.
Le migliaia di colate di lava, le immense quantità di scorie, ghiaie, sabbie, ceneri, tufi emesse nel corso dell’incessante attività vulcanica di questa straordinaria macchina termodinamica naturale, hanno distrutto e in alcuni casi sigillato o semplicemente nascosto per sovrapposizione stratigrafica, i resti dei vari centri eruttivi preesistenti.
L’Etna non può essere considerato un unico grande edificio vulcanico: almeno due, il Trifoglietto e il Mongibello, si sono succeduti e sovrapposti nel tempo, e attraverso la paziente opera di rilevamento geologico e alle analisi eseguite sulle rocce campionate, alle informazioni ottenute dai terremoti e dalle eruzioni vulcaniche, i geologi hanno potuto scrivere la storia del complesso vulcanico poligenico, anche se molto resta ancora da scrivere.
Geografia e Geomorfologia
L’Etna è un particolare stratovulcano, alto circa 3.340 m, ubicato nella parte centro-settentrionale della costa orientale della Sicilia, nel distretto di Catania ed è attraversato dal 15° meridiano noto come Meridiano dell’Etna. (2.517.600 E 4.179.925 N Gauss Boaga East zone Datum Roma 40).
Si estende su una superficie superiore ai 1.250 km2, con un perimetro di oltre 135 km ed è delimitata dai Peloritani a nord, dai Nebrodi a nord-ovest, dal Simeto e dalla pianura alluvionale (Piana di Catania) a sud e sud ovest.
L’Etna è uno dei maggiori vulcani poligenici del mondo con un’impressionante valle tettonica denominata Valle del Bove (una tipica caldera vulcano-tettonica).
La costruzione dell’edificio vulcanico è stata interrotta da numerosi collassi calderici (subsidenza) nell’area dei crateri sommitali. La fase più recente di collasso è associata con la formazione della Caldera del Piano.
Tettonica
L’Etna rappresenta una speciale “finestra astenosferica”, in un’area dominata da processi tettonici di convergenza litosferica, che hanno probabilmente trovato sviluppo durante il Mesozoico, per effetto delle diverse velocità di apertura manifestatesi lungo la dorsale medio-atlantica.
La maggiore velocità di apertura lungo il segmento meridionale della dorsale rispetto alla velocità del segmento settentrionale, ha indotto un’accelerazione relativa del blocco africano rispetto alla massa continentale euroasiatica, imprimendo all’Africa una rotazione antioraria e portandola a serrarsi contro l’Eurasia. Tale collisione si è sviluppata attraverso una serie di eventi occorsi in tempi differenti (diacronici).
L’evoluzione del processo di convergenza tra Africa ed Eurasia ha conosciuto diverse fasi di collisioni determinando estesi fenomeni di subduzione e distensione nella crosta oceanica (Tetide), che hanno portato a un’intensa disarticolazione e frammentazione della struttura litosferica originaria, creando un mosaico di microzolle più o meno stabili, in movimento le une rispetto alle altre, nonché rispetto alle più estese placche africana ed euroasiatica. Il quadro dell’evoluzione dell’attività vulcanica quale tracciante dei processi geo-dinamici nel bacino del Mediterraneo, rispecchia nella propria complessità quella più generale che caratterizza l’assetto neotettonico dell’area. Le manifestazioni vulcaniche che si sono succedute nell’ambito del bacino del Mediterraneo sono prevalentemente rappresentate da magmi ricchi in silice dovuti a processi di convergenza litosferica.
Si sono peraltro sviluppate localmente situazioni di distensione tettonica che hanno favorito l’apertura di fessure distensive profonde nella crosta che permettono la risalita dall’astenosfera con la conseguente messa in posto di magmi anorogenici basaltici provenienti dal mantello superiore.
Una di tali aree è appunto rappresentata dal margine orientale della Sicilia, dove intense e continue manifestazioni eruttive di natura basica si sono verificate sin dalla fine del Miocene, circa 10 milioni di anni fa. Queste manifestazioni hanno interessato una fascia che si estende nell’entroterra fino a 30-40 km dalla costa jonica e, spostandosi verso posizioni sempre più settentrionali, hanno raggiunto l’area dove oggi si trova l’Etna.
La discontinuità litosferica con orientamento NNO-SSE, lungo la quale si collocano le isole di Vulcano, Lipari e Salina, si estende verso Sud attraversando la Sicilia nordorientale da Capo Tindari a Giardini sulla costa ionica. Questa discontinuità strutturale, che prende il nome di “linea Tindari-Letojanni”, unitamente al sistema di faglie litosferiche che borda a oriente la Sicilia meridionale e che viene comunemente designato come “scarpata ibleo-maltese”, rappresenta la sede dei più frequenti e spesso disastrosi terremoti che hanno colpito la Sicilia orientale. L’attività vulcanica dell’Etna è fortemente condizionata dall’assetto tettonico regionale.
L’Etna rappresenta quindi una “risposta” al complesso processo di convergenza litosferica tra la placca africana a sud e quella euroasiatica a nord nonché ai molteplici eventi geodinamici che hanno caratterizzato il bacino del mediterraneo. Le migliaia di colate di lava, le immense quantità di scorie, ghiaie, sabbie, ceneri, tufi emesse nel corso dell’incessante attività vulcanica di questa straordinaria macchina termodinamica naturale, hanno distrutto e in alcuni casi sigillato o semplicemente nascosto per sovrapposizione stratigrafica, i resti dei vari centri eruttivi preesistenti.
Vulcanologia
Le prime manifestazioni eruttive sono avvenute circa 600.000 anni fa, nel Pleistocene medio-inferiore tra Acicastello, Acitrezza, Ficarazzi, Capo Mulini in un immenso golfo marino attraverso eruzioni sottomarine che oggi costituiscono i prismi basaltici dell’isola Lachea e dei faraglioni di Acitrezza nonché l’imponente ammasso di brecce vulcaniche vetrose (Jaloclastiti) e di lave a cuscino (pillow-lava) su cui sorge il castello di Aci o le testate pentagonali del porto di Acitrezza.
Tali eruzioni hanno contribuito a riempire parzialmente il golfo pre-etneo. Il rinvenimento di affioramenti di argille azzurre siltose pleistoceniche a circa 700 m sul livello del mare nel versante nord orientale e l’esistenza di terrazzi marini e fluviali posti a varia altezza nei versanti sud orientale e sud occidentale, dimostrano il sollevamento complessivo dell’area Jonico-etnea a opera di quelle spinte tettoniche tutt’ora attive.
Tra i 350.000 e 200.000 anni fa, attraverso enormi fessure eruttive lineari, si poteva assistere alla formazione di imponenti bancate laviche tabulari estremamente fluide che in diversi punti raggiungevano oltre 50 m di spessore e che oggi ritroviamo sotto forma di ampie superfici terrazzate poste a quote variabili dai 600 ai 300 m sul livello del mare nell’area geografica su cui sorgono gli abitati di Valcorrente, S. Maria di Licodia, Biancavilla e Adrano.
Entrambi questi prodotti vulcanici (subacquei e subaerei) rappresentano le cosiddette Vulcaniti Tholeiitiche Basali e appartengono allo stesso periodo geologico al quale è da attribuire anche la rupe isolata di lave colonnari di Motta S. Anastasia. (Neck di Motta). Questi particolari Basalti pre-etnei hanno anticipato lo sviluppo dell’Etna propriamente detta.
Dopo un considerevole lasso di tempo (Pleistocene Superiore: 200.000÷100.000 anni dal presente), in seguito a processi fisico-chimici di differenziazione magmatica e a uno spostamento degli assi eruttivi verso nord e verso ovest e a mutamenti nel meccanismo di risalita e messa in posto, nonché nella composizione chimica dei magmi e nel tipo di attività, ebbe inizio il Vulcanismo detto delle “Timpe” che portò all’emissione di lave con cristalli evidenti e morfologia colonnare, con intercalati livelli di ceneri giallastre e scorie brunorossastre, originati dall’attività dei primi apparati vulcanici etnei a carattere centrale (Calanna) o di apparati fissurali ubicati lungo la costa attuale (Timpe). Questi prodotti vulcanici sono rappresentati da lave di tipo basaltico.
Nella periferia settentrionale della città di Catania mostrano andamento tabulare e coronano scarpate di paleofalesie marine di età Tirreniana, mentre lungo la Timpa di Acireale, sono sormontate da prodotti vulcanoclastici (conglomerati e brecce) in facies continentale e marina (tufi fossiliferi biancastri).
Un cambiamento ancor più radicale nei meccanismi di formazione e risalita magmatica, tra la fine del Pleistocene superiore e l’inizio dell’Olocene inferiore (100.000÷60.000 anni fa), portò all’emissione di colate laviche alternate a livelli di scorie, brecce e lapilli, i cui affioramenti a reggipoggio formano le pareti occidentali e meridionali dell’attuale Valle del Bove.
Questi prodotti, unitamente ai corpi subvulcanici a giacitura subverticale con tessitura massiva e sviluppo di giunti colonnari, costituiscono i prodotti dell’attività dei Centri Eruttivi di Trifoglietto, Giannicola, Salifizio-Vavalaci e Cuvigghiuni e più a Sud, di Tarderia.
Prodotti lavici e vulcanoclastici attribuibili all’attività effusiva ed esplosiva del Centro Eruttivo dell’Ellittico, il cui asse eruttivo è localizzato all’interno della omonima caldera di collasso, (60.000-18.000 anni fa), costituiscono le colate e i livelli scoriacei e di brecce, che affiorano lungo le pareti occidentali e settentrionali della Valle del Bove. Nella parte apicale di quest’Unità, si distinguono delle Trachiti a facies di cupola e lave autobrecciate (M. Calvario) e colate di Foam di colore rossastro e fortemente vescicolate affioranti a Punta Lucia. L’area di Pizzi Deneri è caratterizzata da depositi piroclastici di caduta (sabbie, scorie e brecce scarsamente saldate rossastre e pomici giallastre, di tipo Benmoreitiche. L’area compresa tra Giarre e Valverde, presenta altresì gli stessi prodotti vulcanoclastici,
mentre tra Biancavilla e Ragalna, affiorano depositi di Debris flow ed epiclastiti laviche costituite da blocchi eterogenei di dimensioni metriche disperse in matrice arenitico-limosa.
Depositi di frammenti di lave a spigoli vivi, brecce vulcanoclastiche, lapilli, scorie, sabbie e bombe di dimensioni varie e a disposizione caotica, si rinvengono nei pressi di Milo, Ragalna, Biancavilla, S. Maria di Licodia, Montalto. In quest’ultimo sito, è possibile osservare una tipica colata piroclastica di tipo ignimbritico (estremamente acida). Lo smantellamento delle Unità denominate del Trifoglietto, ha dato origine a un’estesa conoide, costituita da depositi detritici alluvionali più o meno cementati e irregolarmente stratificati in banchi, costituiti da ciottoli e blocchi vulcanici litologicamente eterogenei immersi in una matrice sabbiosa nonché a tufi. Tali depositi spessi centinaia di metri, come hanno meglio chiarito le indagini geofisiche e le campagne oceanografiche, eseguite negli ultimi anni, affiorano estesamente nel basso versante orientale, tra gli abitati di Giarre e Riposto e sono localmente noti come “Chiancone”.
Fenomeni violentemente esplosivi e colate di fango devono essere occorsi tra la fine delle manifestazioni eruttive del Calanna e delle attività delle Unità del Trifoglietto (Giannicola, Salifizio, Vavalaci Cuvigghiuni e Tarderia) che hanno lasciato tracce in tutta l’area sudorientale dell’Etna dove affiorano estesi depositi di materiale tufaceo e lahaars, originatesi in seguito a colate di fango bollente (“Tufiti e lahaars inferiori”).
La Serra del Salifizio a est e quella delle Concazze ad ovest, delimitano l’enorme anfiteatro naturale della Valle del Bove dalla caratteristica forma “a ferro di cavallo” (perimetro circa 18 km area circa 37 km2), che rappresenta uno dei più affascinanti e selvaggi ambienti naturali dell’Etna. Il recinto calderico è costituito, a nord e a sud, da alte pareti scoscese, con altezze comprese tra i 400 e 1000 m. Queste pareti sub-verticali includono le testate di antichi banchi lavici, che con pendenze varie si immergono in direzione opposta alla Valle e costoni rocciosi, noti come Serre, costituiti da Dicchi magmatici (ossia intrusioni di lave lungo assi strutturali) messi in luce dall’erosione selettiva, che tagliano le formazioni geologico-stratigrafiche affioranti, e rappresentano gli antichi sistemi di alimentazione magmatica.
Alle Serre si alternano i Canaloni, incisioni vallive dove si accumulano i detriti provenienti dallo smantellamento dei banchi lavici e che danno luogo, a valle, a conoidi di deiezione. Mentre gli orli delle pareti settentrionale ed occidentale digradano dolcemente rispettivamente verso est e verso sud, l’orlo della parete orientale presenta invece delle forti discontinuità, sotto forma di avvallamenti, in corrispondenza di profondi solchi vallivi che interessano il versante esterno della parete (Valle del Tripodo, Valle degli Zappini). Tali discontinuità sono il risultato sia di limiti stratigrafico-strutturali di differenti complessi eruttivi sia di “accidenti” vulcano-tettonici. In tempi molto recenti dal punto di vista geologico (Olocene medio-superiore:18.000÷10.000 anni fa) si sono determinate le condizioni per la costruzione del più imponente vulcano che le testimonianze geologiche ci hanno permesso di ricostruire, la cui altezza massima stimata era di 3880 m sul livello del mare. Gran parte delle formazioni vulcaniche presenti lungo il versante settentrionale e nell’alta Valle del Leone o i notevoli depositi tufacei di colore rossiccio di potenza superiori ai 10 m, che possiamo osservare percorrendo la strada provinciale che da Paternò conduce ad Adrano, in località Montalto di Biancavilla, rappresentano i prodotti emessi da questo Vulcano durante violentissime attività esplosive parossistiche che hanno dato luogo a immense colate piroclastiche con meccanismi di nubi ardenti e colate di fango bollente (lahaars).
Un vero e proprio cataclisma (14.000 anni fa) fece collassare la parte sommitale di quest’immenso edificio vulcanico formando la cosiddetta Caldera del Cratere Ellittico (4 km per 3 km). Pizzi Deneri a nordest e Punta Lucia a nordovest, rappresentano i resti dei bordi originali di questa depressione vulcanica.
Solamente molte centinaia di anni dopo la fine del vulcanesimo dell’Ellittico, nella parte sud della caldera, iniziò ad aversi un’attività vulcanica che avrebbe portato all’edificazione del Mongibello recente o Etna, di cui si distinguono le colate e le vulcanoclastiti a morfologia superficiale degradata da quella ben conservata. Ripetuti eventi esplosivi parossistici di grande intensità avvenuti nel 8140 a.C.; 7100 a.C.; 6100 a.C.; 5000 a.C.; 4280 a.C.; 2840 a.C.; 1280 a.C.; 122 a.C., caratterizzarono le fasi giovanili di questa irrequieta montagna fumante. Alcuni di questi parossismi non furono nemmeno dipendenti dall’attività del Cratere Centrale, bensì dalle ultime fasi della formazione della Valle del Bove attraverso una ripetuta serie di svuotamenti di camere magmatiche superficiali.
Testimonianze geologiche recentemente acquisite da parte degli studiosi attraverso campagne oceanografiche al largo del mare Jonio, hanno consentito di ricostruire l’apocalittico evento vulcanico che 6000 anni prima di Cristo, fece collassare, per ragioni strutturali, verso il mare Jonio, buona parte della porzione terminale dell’Etna, provocando nubi di pomici e vere e proprie tempeste rasoterra di sabbie bollenti che carbonizzarono grandi estensioni di terreni. I prodotti di questi eventi estremi giunsero sino in mare attraverso colate di fango bollenti (lahaars) e anche in seguito a intensi fenomeni di dissesto dovuti all’attività torrentizia dei corsi d’acqua superficiali, determinando estese formazioni vulcanoclastiche soprattutto nel versante orientale che contribuirono a generare un immane tsunami nel Mediterraneo. Un vero e proprio cataclisma con la formazione di onde gigantesche che in poche ore colpirono le coste della Calabria, dell’Albania e della Grecia occidentale, per poi raggiungere l’Egitto e la Libia sino alle coste libanesi e siriane.
Attraverso il metodo radiocronologico del Carbonio 14 è stato possibile ricostruire un altro apocalittico evento vulcanico occorso nel 1280 a.C. (attività violentemente esplosive, oggi conosciute come attività sub-pliniane e caratterizzate dal deposito di estese coltri di materiali tufacei, talora formati con meccanismi di “nube ardente” o di colate di fango), del quale potrebbe essere rimasta un’eco in Diodoro Siculo, nella leggenda dei Sicani che avrebbero abbandonato la Sicilia orientale a seguito di continue eruzioni dell’Etna. È probabile che dietro questa notizia si nascondano in realtà i complessi fenomeni che determinarono la diminuzione dei siti archeologici nel Bronzo Medio e ancor più nel Bronzo Recente (1270-1050 ca. a. C.). Altro evento significativo è quello occorso nel 122 a. C., che determinò la fondazione del grande Cratere del Piano.
Il dinamismo che oggi conosciamo sull’Etna si è stabilito da poco meno di 2000 anni. Nel 1669 si è originata l’ultima grande eruzione con le conseguenze che ben conosciamo.
Le eruzioni più recenti (2001, 2002-03, 2004-05, 2006, 2007, 2008 e molti parossismi vulcanici dal nuovo cratere di sudest durante 2011-2014), che si sono verificati nel sito sono da attribuire a quest’ultimo tipo di eruzioni esplosive.
Morfologie Vulcaniche
Centinaia di coni e apparati secondari, di sabbie, ghiaie e scorie vulcaniche, talora dalle dimensioni imponenti, isolati o allineati lungo fratture eruttive, rappresentano i punti di emissione di prodotti piroclastici generati durante un’intensa attività esplosiva delle bocche periferiche durante un’eruzione laterale e costituiscono una delle peculiarità della fisiografia generale dell’Etna, sui cui fianchi si sono spesso avvicendate numerose generazioni di genti che, imparando a convivere con la Muntagna, ne hanno modellato l’ambiente al punto da creare nuovi paesaggi rurali, sviluppatisi intorno all’agricoltura e all’allevamento, lasciando un’impronta indelebile attraverso segni inconfondibili e pregnanti nella strutturazione del territorio.
Le lave dell’Etna sono prevalentemente di tipo aa (termine onomatopeico hawaiano utilizzato per descrivere lave molto aspre, su cui è molto difficile camminare a piedi nudi), o di tipo pahoehoe (termine onomatopeico hawaiano utilizzato per descrivere lave cordate, su cui è facile camminare a piedi nudi), o lave a lastroni irregolari variamente articolate. Su questi campi lavici, si sono determinate le condizioni geologiche affinché si creassero sistemi di tubi di scorrimento lavico che grazie all’isolamento termico, consentono alle lave di poter fluire su grandi distanze, alimentando fronti di lava fino a 10 km o più dalle bocche, nonché grotte vulcaniche originate da attività espansiva o da fratture (oltre 250 censite). All’interno delle grotte è possibile rinvenire diverse concrezioni mineralogiche peculiari e rare: finestre, striature, mensole, rotoli di lava e stalattiti di lava.
La Grotta del Gelo, la Grotta degli Archi, la Grotta delle Palombe, la Grotta dei Tre Livelli, la Grotta dell’Abisso del Profondo Nero, rappresentano alcune delle grotte più note dell’Etna. Esse sono state utilizzate dagli etnei fin dai tempi antichi come luoghi sacri o di sepoltura, come rifugi e anche come luoghi per conservare la neve (neviere) per poterla utilizzare in estate quando ancora non esistevano i frigoriferi.